Post Scriptum



In un articolo dedicato ad Antonin Artaud pubblicato nel 2005 dal settimanale Specchio («La Stampa») in concomitanza con la grande mostra allestita al M.O.M.A. di New York sulla figura e l'opera dell'artista francese, veniva citata la recensione che una rivista americana aveva dedicato alla manifestazione.
Il titolo, «Artaud: les Mots Mat», faceva un chiaro riferimento, attraverso un sottile gioco fonetico di parole, sia alla raccolta di poesie «Artaud le Mômo» (Gallimard, 1974), che allo stesso nome del museo.
Specchio, in un'azzardata traduzione, definiva «les mots mat» come «le parole oscure», sebbene il termine francese «mat» significhi letteralmente: opaco, sordo, ottuso, oppure (in argot) stanco, finito o terminato.
Benchè personalmente trovi l'aggettivo «oscuro» più adatto per definire l'opera letteraria di Artaud (e molto azzeccato il gioco di parole della rivista americana) ho pensato comunque di ridare alla definizione una traduzione più scolastica e di utilizzarla per intitolare queste pagine personali.
Opaco è il contrario di tutto ciò che è lucido e brillante ed i pensieri di Antonin Artaud tutto erano fuorchè opachi. Viceversa, è nella mia testa e nelle mie idee (talvolta anche nelle mie opinioni), che di confusione ce n'è sempre tanta, forse troppa. Ed è faticoso non darlo a vedere.
Una continua rincorsa attraverso argomenti che non conosco, in un susseguirsi accavallato di contraddizioni stratificate. Ma del resto, tanto per citare Breton, "...l'ultima cosa che mi preoccupa è di essere chiaro e coerente con me stesso".

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